Per i Comuni sblocco dei risparmi e fondo profughi
Sergio Trovato – Il Sole 24 Ore – In collaborazione con Mimesi s.r.l.
Gli enti locali occupano le prime file anche nel decreto Aiuti. Sul tavolo delle riunioni tecniche che si sono intensificate in vista del via libera in consiglio dei ministri fra domani e venerdì si profila un intervento in tre mosse: un nuovo fondo per sostenere i conti schiacciati dal caro-bollette, con uno stanziamento che come già accaduto nel decreto di marzo potrebbe essere destinato anche a ospedali e aziende sanitarie, un aiuto sostanzioso per la gestione dei profughi dall’Ucraina, che hanno ormai superato quota 100mila, e lo sblocco degli avanzi di bilancio che le regole ordinarie di contabilità manterrebbero parcheggiati almeno fino al 31 luglio. Ma andiamo con ordine.
Per Comuni ed enti locali che proprio in questi mesi dovrebbero dare il colpo di reni per l’avvio dei progetti Pnrr l’emergenza è doppia. Sindaci e presidenti condividono con imprese e famiglie il colpo dei rincari energetici, che nei primi tre mesi dell’anno hanno già fatto crescere del 38,5% i pagamenti per il gas e del 23,2% quelli dell’elettricità rispetto allo stesso periodo del 2021 (Sole 24 Ore di lunedì); e hanno un ruolo centrale nella gestione dei profughi in fuga dalla guerra in Ucraina.
I numeri collegati alle diverse misure in cantiere sono in queste ore nel pieno del balletto di una complicata quadratura delle coperture del decreto, o dell’accoppiata di decreti se il governo deciderà di separare il capitolo energia in un provvedimento a sé. In ogni caso l’aiuto destinato all’accoglienza dei profughi dovrebbe rappresentare lo stanziamento più ricco.
I 500 milioni di euro ipotizzati nei giorni scorsi sono apparsi in fretta insufficienti di fronte ai numeri in rapida crescita negli arrivi. La cifra, in un’altalena il cui esito dipenderà dall’assetto complessivo del provvedimento, punta ora verso i 6-700 milioni. E potrebbe rappresentare solo un primo passo da completare poi nei prossimi mesi.
Per capirlo basta fare un passo indietro a sei anni fa, quando l’allora governo Renzi battagliava in Europa per escludere le «spese eccezionali» per i migranti dal saldo strutturale sui cui si calcola(va) il rispetto delle regole fiscali Ue. Nel 2016 gli arrivi erano stati 145mila, e Roma aveva chiesto di togliere dai conteggi del Patto di stabilità 3,3 miliardi. Ovviamente i due fenomeni non sono immediatamente paragonabili, per la diversa tipologia di flussi e per il differente obiettivo dei calcoli, che all’epoca erano spinti al rialzo per allargare gli sconti comunitari e oggi sono frenati dall’esigenza di far quadrare i conti senza lo scostamento, ma il confronto è utile per capire gli ordini di grandezza in gioco.
Anche per gli aiuti sul caro bollette si è parlato di 3-500 milioni, ma la questione si incrocia con lo sblocco degli avanzi di bilancio, per così dire i cugini pubblici di quelli che in un’azienda sono gli utili. Nel 2019, anno di riferimento utile perché non inquinato dai fondi Covid, 5.766 Comuni (il 73% del totale) avevano chiuso l’anno con avanzi disponibili per 3,58 miliardi. Il problema è che le regole di contabilità chiedono di utilizzare prioritariamente questi fondi per la salvaguardia degli equilibri di bilancio, che si verifica entro il 31 luglio; troppo tardi vista l’emergenza di oggi. Al Mef si lavora quindi a una deroga che liberi queste risorse per tamponare le spese extra di questi mesi, come da richiesta di molte città a partire da Milano. Non tutti, però, possono vantare questi risparmi (sempre nel 2019 ne erano prive 7 città su 12 sopra i 250mila abitanti); di qui il fondo aggiuntivo. L’alternativa, spinta dalla Ragioneria, è di intervenire con una modifica del principio contabile: che sarebbe però strutturale e non collegata quindi alla sola emergenza di oggi.
* Articolo integrale pubblicato su Il Sole 24 Ore del 27 aprile 2022.
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