Morte vigile urbano e responsabilità del Comune
Un vigile urbano muore a causa di una improvvisa crisi cardiaca, manifestatasi durante il tragitto per recarsi sul posto di lavoro. Il Comune finisce sotto accusa, la vedova attribuisce all’ente la responsabilità per la morte del marito.
Questa visione viene ritenuta corretta dai Giudici, che valutano «negligente» il comportamento tenuto dall’Ente locale e lo condannano a provvedere ad un adeguato «risarcimento» in favore della donna per «i danni» da lei subiti a seguito della «morte del proprio coniuge».
A partire dal novembre 1988, con l’insorgere della fibrillazione atriale, la patologia del vigile urbano si era bruscamente aggravata. Da quel momento, osservano i magistrati, «egli andava considerato totalmente inidoneo a qualsiasi attività lavorativa, anche la più sedentaria».
Decisiva la constatazione che «il Comune, in presenza della segnalazione della grave patologia del lavoratore, oltre a non dispensarlo dai servizi esterni, non si era attivato per accertarne l’idoneità allo svolgimento delle normali mansioni del suo servizio».
Consulta l’ordinanza n. 7520/2018, Cassazione civile
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