La custodia di alimenti in luoghi sporchi giustifica la distruzione della merce

Secondo l’autorevole insegnamento della Corte di Cassazione, Sez. III sentenza n. 44927/2016, ai fini della configurabilità della contravvenzione prevista dalla L. 30 aprile 1962, n. 283, art. 5, lett. b, che vieta l’impiego nella produzione di alimenti, la vendita, la detenzione per la vendita, la somministrazione, o comunque la distribuzione per il consumo, di sostanze alimentari in cattivo stato di conservazione, non è necessario che quest’ultimo si riferisca alle caratteristiche intrinseche di dette sostanze, ma è sufficiente che esso concerna le modalità estrinseche con cui si realizza, le quali devono uniformarsi alle prescrizioni normative, se sussistenti, ovvero, in caso contrario, a regole di comune esperienza.
In questo senso anche la custodia in locali sporchi e quindi igienicamente inidonei alla conservazione determina la violazione del divieto di commercializzazione del prodotto.
Non è dunque necessario alcun accertamento sulle caratteristiche intrinseche degli alimenti, essendo sufficiente l’esame visivo dei luoghi in cui essi erano conservati, ed in ragione di ciò ai sensi dell’art. 260 c.p.p., comma 3-bis è possibile procedere alla distruzione delle merci oggetto di sequestro (contro cui era stata impugnata l’ordinanza), di cui sono comunque vietati la fabbricazione, il possesso, la detenzione o la commercializzazione alle seguenti ipotesi ben delimitate e alternative tra loro: a) la custodia difficile o particolarmente onerosa; b) la custodia pericolosa per la sicurezza, la salute o l’igiene pubblica; c) l’evidente violazione dei divieti di fabbricazione, possesso, detenzione e commercializzazione.

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