Il curatore fallimentare ha l’obbligo di mettere in sicurezza i beni immobili e di rimuovere i rifiuti

Il Consiglio di Stato, con sentenza n. 2997 del 2 aprile 2024 ha ribadito che, se è vero che il curatore del fallimento non può essere qualificato come avente causa del fallito nel trattamento dei rifiuti, in quanto il fallimento non dà vita ad alcun fenomeno successorio sul piano giuridico, nondimeno si deve ritenere che “la presenza dei rifiuti in un sito industriale e la posizione di detentore degli stessi, acquisita dal curatore dal momento della dichiarazione del fallimento dell’impresa, tramite l’inventario dei beni dell’impresa medesima ex artt. 87 e ss. L.F., comportino la sua legittimazione passiva all’ordine di rimozione”. Ciò, perché in tale situazione “la responsabilità alla rimozione è connessa alla qualifica di detentore acquisita dal curatore fallimentare non in riferimento ai rifiuti (che sotto il profilo economico a seconda dei casi talvolta si possono considerare ‘beni negativi’), ma in virtù della detenzione del bene immobile inquinato (normalmente un fondo già di proprietà dell’imprenditore) su cui i rifiuti insistono e che, per esigenze di tutela ambientale e di rispetto della normativa nazionale e comunitaria, devono essere smaltiti”. Per conseguenza “l’unica lettura del decreto legislativo n. 152 del 2006 compatibile con il diritto europeo, ispirati entrambi ai principi di prevenzione e di responsabilità, è quella che consente all’Amministrazione di disporre misure appropriate nei confronti dei curatori che gestiscono i beni immobili su cui i rifiuti prodotti dall’impresa cessata sono collocati e necessitano di smaltimento”.

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