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Stato record nella pandemia: spesa a 1.139 miliardi, 69% del Pil
Gianni Trovati ? Il Sole 24 Ore ? In collaborazione con Mimesi s.r.l. Nella relazione della Corte dei conti che ieri ha parificato il rendiconto generale dello Stato 2020 c'è un dato che offre parecchia sostanza al dibattito fin qui teorico sul «ruolo dello Stato nell'economia» e soprattutto misura efficacemente l'impatto del Covid sui conti pubblici. Lo si incontra a pagina 16, dove si legge che lo scorso anno gli stanziamenti complessivi di spesa pubblica hanno raggiunto i 1.139 miliardi: si tratta del 69% del Pil, che con la pandemia si è contratto dell'8%, e di un aumento del 30,7% rispetto agli 870 miliardi del 2019. L'impennata della spesa è stata spinta com'è ovvio dalla fitta sequenza dei provvedimenti emergenziali che ha cadenzato tutto l'anno, e che ha gonfiato sia le uscite correnti (+22,6%) sia, soprattutto, quelle in conto capitale, triplicate rispetto a 12 mesi prima soprattutto per gli interventi di sostegno patrimoniale alle imprese che in larga parte sul piano attuativo sono scivolati su quest'anno. Ma numeri ciclopici come quelli indicati dai presidenti di coordinamento delle sezioni Riunite in sede di controllo, Enrico Flaccadoro ed Ermanno Granelli, mandano definitivamente in soffitta l'idea che il Covid possa rappresentare una parentesi, drammatica quanto si vuole ma puramente temporanea, nella vita di conti pubblici destinati a tornare presto alla normalità. La caduta dell'economia e la necessità della risalita, avverte del resto il presidente della Corte Guido Carlino, determinano l'esigenza di «aumentare strutturalmente alcune componenti della spesa» e per questa ragione, quando sarà possibile senza tagliare sul nascere le chance di ripresa economica, sarà inevitabile affiancare «all'espansione della spesa buona il contenimento di quella cattiva». Ma non solo. In Italia il ritorno a una normalità prepandemica non è un'opzione possibile e nemmeno auspicabile, perché la normalità italiana si è snodata su un ventennio di economia stagnante e di produttività calante. Accanto al Recovery Plan, che naturalmente è «un'opportunità per effettuare investimenti che aumentino la crescita potenziale» e altrettanto ovviamente ha bisogno di «controlli rapidi e innovativi» per garantire «l'effettività della tutela delle risorse», le modifiche strutturali al bilancio pubblico servono a evitare la ricaduta in quella normalità disfunzionale. Ma per essere sostenibile, il cambio di passo va accompagnato dall'abbandono progressivo ma rapido di una serie di vizi italiani. Il primo fra quelli evidenziati dalla Corte dei conti è l'evasione fiscale, incompatibile con gli obiettivi di una riforma (servizio a pagina 2) che punta a ridurre il carico su cittadini e imprese. Anche al netto delle ricadute dell'emergenza sanitaria, nonostante l'aiuto effettivo di strumenti come l'e-fattura, il reverse charge e lo split payment, gli incassi prodotti da accertamenti e controlli «continuano ad essere del tutto incoerenti con la dimensione dei fenomeni evasivi», come si legge nella relazione. Nel giudizio dei magistrati contabili i freni sono azionati da una «sottoutilizzazione» di strumenti potenzialmente efficaci come l'Anagrafe dei rapporti finanziari, ma anche da timidezze normative come quella che allunga il calendario del debutto per la pre-compilata Iva fino all'aprile 2023 (sulle operazioni 2022). La stessa convivenza di miglioramenti parziali e difetti strutturali si incontra sui ritardi di pagamento dei debiti commerciali nella Pa che, avverte il procuratore generale Angelo Canale, hanno «un fortissimo impatto sull'economia reale» e rischiano di «depotenziare gli obiettivi sfidanti» di crescita affidati al Recovery Plan. Il punto, rilevato sul Sole 24 Ore di domenica, è che i miglioramenti in termini di performance media registrati dal Mef lasciano indietro migliaia di amministrazioni (5.687 Pa) che soprattutto fra sanità ed enti territoriali restano impigliate fra scarsità di risorse e, soprattutto, inciampi procedurali e contabili.www.polnews.it