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Porto d’armi: l’appartenenza ad una categoria non è di per sé tale da giustificare il rilascio delle licenze
E non è sufficiente, per la richiesta della licenza di porto di pistola per difesa personale, addurre come “dimostrato bisogno” un consistente volume d’affari societari e conseguente maneggio di grosse quantità di denaro. Lo ribadisce il Consiglio di Stato con Sentenza n. 5276/2016
In tema di porto d’armi, i giudici del Consiglio di Stato ricordano come, ogni volta che il Ministero dell’Interno esamina un’istanza di rinnovo di porto d’armi si rende necessaria una nuova valutazione degli interessi pubblici e privati coinvolti. Questi riguardano in particolare la salvaguardia dell’ordine pubblico e la prevenzione del crimine organizzato, da un lato, e la difesa personale dall’altro. Tale valutazione tiene conto delle peculiarità del territorio e della situazione dei richiedenti, ma non in modo esclusivo. Rientrano al suo interno anche considerazioni di carattere generale che non riguardano l’appartenenza ad una categoria.
Il rilascio è ovviamente previsto e regolato da legislatura per i membri delle Forze dell’Ordine. Per gli altri gruppi, in assenza di specifiche norme, si deve presupporre che l’appartenenza alla categoria non abbia alcuno specifico rilievo e non possa giustificare il rilascio della licenza di porto d’armi.
Nel caso relativo alla sentenza presa in esame, un uomo ha giustificato la richiesta della licenza portando come prova del “dimostrato bisogno” dell’arma, il consistente volumi d’affari della sua società e il conseguente maneggio di titoli e grosse quantità di denaro. L’Amministrazione, di contro, ha rilevato la possibilità di avvalersi di più moderni sistemi di pagamento e ha sottolineato che non erano emersi elementi tali da evidenziare come l’incolumità del richiedente non fosse messa a specifico repentaglio.
Consulta la Sentenza 14.12.2016 n. 5276 del Consiglio di Stato
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