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Manutenzione stradale: di chi è la responsabilità se l’incidente è causato da un’anomalia delle pertinenze stradali?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 260 del 10.1.2017, esamina il caso di un sinistro che chiarisce alcuni concetti relativi alla manutenzione stradale e alle eventuali responsabilità dell’ente proprietario della strada in caso di incidente
La dinamica dell’incidente è piuttosto comprensibile: dopo aver evitato un’auto che proveniva dal senso opposto di marcia, il ricorrente, che transitava a bordo di un autocarro, metteva la ruota anteriore destra fuori dalla sede stradale. A causa di un notevole dislivello fra la parte asfaltata della stessa e la parte in erba adiacente, il mezzo aveva poi sbandato finendo con il ribaltarsi su un lato. Il camionista sostiene che la responsabilità del sinistro sia da attribuire alla provincia proprietaria di quel tratto di strada, rea di non aver segnalato opportunamente il pericolo costituito dal dislivello fra l’asfalto e il manto erboso.
Le scarpate delle strade statali, provinciali e comunali, così come fossi e banchine ad esse adiacenti, sono considerati parte della strada e perciò soggette allo stesso regime di demanialità. La situazione statica di questi elementi accessori è fondamentale per garantire l’agibilità della strada in sicurezza. La Pubblica Amministrazione, come proprietaria delle strade pubbliche, deve assicurarne la manutenzione, compresa l’individuazione, prevenzione e segnalazione di potenziali pericoli.
Nel caso in questione la presenza di un profondo scalino a lato strada, non segnalato da nessuno cartello stradale e oltretutto occultato da folta vegetazione, costituisce un pericolo su cui l’ente proprietario della strada avrebbe dovuto intervenire.
Ciò posto, nonostante si sia accertato che la manovra con cui il camionista ha evitato l’auto era di per sé sufficiente a provocare il sinistro, è indispensabile valutare, congiuntamente alla condotta del conducente, l’omessa manutenzione da parte dell’Amministrazione.
Consulta la sentenza n. 260 del 10.1.2017 della Corte di Cassazione
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