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Resistenza a pubblico ufficiale: anche in presenza di più agenti, il reato è unico
La Suprema Corte di Cassazione esamina un ricorso a una condanna per resistenza a pubblico ufficiale (Art.377 C.P.), ribadendo che il bene difeso dalla norma è rappresentato dal regolare svolgimento dell'attività della P.A.
Si dà notizia della Sentenza n. 4123, del 27.1.2017, con la quale i giudici della Cassazione esaminano un caso di ricorso a una condanna per resistenza a pubblico ufficiale. L’imputato “ha, infatti, aggredito gli agenti ripetutamente con spintoni e gomitate, continuando con tale comportamento anche durante il tragitto verso la Questura”.
Uno dei motivi di ricorso presentati riguarda la supposta continuità della violazione, riconosciuta dal giudice d’appello erroneamente, almeno secondo il parere della difesa.
Proprio il motivo succitato viene accolto dai giudici e porta a una revisione della pena. Come si legge in Sentenza “in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra un unico reato, e non una pluralità di reati avvinti dalla continuazione, la violenza o la minaccia posta in essere nel medesimo contesto fattuale”. Il bene leso riguarda infatti l’atto della Pubblica Amministrazione che viene interrotto e non il numero di persone aggredite o coinvolte nel fatto. In questo caso l’azione resistiva è stata posta in essere in un contesto unico e in opposizione a un unico atto (il riconoscimento dell’imputato da parte degli agenti). Per questa ragione i giudici di piazza Cavour decidono per la diminuzione della pena.
Quanto sopra esposto va comunque integrato con quanto segue: qualora la resistenza dovesse sfociare nella violenza fisica o nella minaccia verso i pubblici ufficiali coinvolti, anche con finalità diverse dall’interruzione dell’atto in svolgimento, sono da applicarsi, oltre all’art. 377 C.P., le norme poste a difesa dell’integrità fisica dell’individuo.
Consulta la Sentenza n.4123 del 27.1.2017, Corte di Cassazione
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