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Se i proventi del furto vengono utilizzati per giocare d’azzardo la pena è ridotta?
La Corte di Cassazione, con Sentenza n. 44659 del 13.10.2016, interviene nel merito di una condanna per una serie di truffe messe in atto, secondo la difesa, al fine di ottenere denaro per giocare dÂ’azzardo
Si fingeva un agente di una nota società d’assicurazione per ottenere il versamento di grosse somme di denaro a titolo di premio, per polizze assicurative che ovviamente non avevano niente di vero. L’uomo, già condannato dalla Corte d’Appello, ricorre in Cassazione sostenendo una posizione interessante. I proventi delle truffe sarebbero stati utilizzati al fine di giocare d’azzardo e, soffrendo l’imputato di ludopatia, si configurerebbero i requisiti necessari per dichiararlo incapace di intendere e volere.
La Cassazione ricorda che «Ai fini del riconoscimento del vizio totale o parziale di mente, anche i "disturbi della personalità", che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di "infermità", purché siano di consistenza, intensità e gravità tali da incidere concretamente sulla capacità di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente».
Nel caso in esame la ludopatia grave è sì l’antefatto primo del crimine, che però non è commesso in vista di una immediata occasione di gioco, quindi in risposta ad una spinta psicologica “compulsiva” (come di chi rapini una persona brandendo un coltello per poi correre a giocare al videopoker i proventi così ottenuti) ma piuttosto al fine di riparare ai danni e ai debiti causati in precedenza. Questo, oltre all’elevata complessità e organizzazione delle truffe, permette di escludere che il disturbo della personalità abbia portato l’imputato a commettere un crimine compulsivo e rapsodico, quindi senza la facoltà di intendere e volere.
La Cassazione procede con il respingimento del ricorso e la conferma della condanna.
Consulta la Sentenza n. 44659 del 13.10.2016 della Corte di Cassazione
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