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Si può portare l’autista ubriaco al comando per accertamenti?
La Corte di Cassazione, con Sentenza n. 17151 del 5 aprile 2017, esamina il caso di ricorso a una condanna per guida in stato di ebbrezza: l’imputato sostiene che la sua libertà personale sia stata limitata
Durante un normale controllo gli agenti notano che il soggetto alla guida dell’auto presenta evidenti segni di ubriachezza, in particolare emana un forte odore di alcool. Preso atto della cosa l’uomo viene accompagnato al comando, distante 15 km dal luogo del controllo, per procedere all’alcoltest. Questo certifica una quantità di alcool nel sangue fra l’1,88 g/l e i 2,00 g/l, da cui la condanna contro la quale viene mosso ricorso in Cassazione.
L'uomo sostiene che la sua libertà personale sia stata limitata, dal momento che è stato coattivamente accompagnato al comando. Ciò sarebbe una violazione della costituzione.
Secondo i giudici la procedura rientra all’interno di quanto previsto dall’art. 186, comma 4, che recita: quando si è in condizioni di ritenere che il conducente sia in stato di alterazione psicofisica a causa dell’alcool, “gli organi di Polizia Stradale di cui all’articolo 12, commi 1 e 2, anche accompagnandolo presso il più vicino ufficio o comando, hanno la facoltà di effettuare l’accertamento con strumenti e procedure determinati dal regolamento”.
La procedura non è incostituzionale in alcun modo, posto che il soggetto accompagnato in comando non subisca alcuna coartazione ma segua gli agenti di sua iniziativa, dopo l’invito degli stessi. Intatta inoltre la possibilità di costui di rifiutarsi di ottemperare alla richiesta, azione che potrebbe configurare comunque un diverso reato (il reato di rifiuto).
Consulta la Sentenza n. 17151 del 5 aprile 2017, Corte di Cassazione
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